sabato, dicembre 22, 2012

Velocità della luce: più lenti non si può (parte 1)


L'idea o meglio la constatazione alla base della relatività ristretta è quella che vede la velocità della luce come un limite massimo invalicabile; tale convinzione nacque già alla fine dell'800, quando Michelson e Morely allo scopo di provare l'esistenza dell'etere, si accorsero che la velocità della luce era costante da qualsiasi punto di riferimento si provasse a misurarla.
In pratica se stessimo viaggiano su di un moderno treno ad una velocità di 300 km/h ed incrociassimo un impulso luminoso che viaggia in direzione opposta, misurando da passeggeri la velocità "percepita" di tale impulso ci aspetteremmo di trovare che la velocità osservata fosse quella della velocità della luce sommata ai 300 km/h; per capirci la velocità percepita o relativa è spiegabile con quella sensazione che abbiamo provato tutti su di un treno alla stazione guardando il treno sul binario vicino e non riuscendo a capire quale dei due si stia effettivamente muovendo:
sommando la velocità del treno fermo (zero) con quella del treno in partenza (esempio 10) e ottenendo lo stesso totale (10) da entrambe i passeggeri dei due treni, non si può sapere quale dei due sia fermo se non osservando un terzo sistema di riferimento (ad esempio il marciapiede). 
A grande sorpresa, nel caso del impulso luminoso, i rilevatori di velocità sopra il treno segnalerebbero, come somma delle due velocità, sempre solo la velocità della luce (1.054.052.849 km/h) e non la velocità del treno sommata a quella della luce. E se il treno andasse ad una velocità prossima a quella della luce? La risposta è sempre uguale, alla faccia di Newton e Galileo, al massimo si registrerebbe un impulso luminoso che va alla velocità della luce: quindi a velocità elevate il principio di relatività spaziale non sembrerebbe più valido.


Da questo assunto è partito Einstein nella stesura della sua teoria, senza andare troppo a scavare sulle cause di un fenomeno apparentemente inspiegabile ed illogico, ma sviluppando da questo dato oggettivo una formidabile serie di previsioni teoriche e di risultati eclatanti, primo tra tutti che il tempo non è assoluto ma è relativo all'osservatore. Infatti per spiegare come possa accadere che un fenomeno che nella quotidianità risulta essere perfettamente concordante con le osservazioni, quale la somma o la differenza delle velocità di sistemi di riferimento in movimento, diventi un rompicapo  inestricabile, si deve introdurre la relatività temporale, soprattutto per sistemi di riferimento che viaggiano a velocità molto elevate (il nostro treno Vs l'impulso luminoso); in questo modo chi percorre tragitti a velocità prossime a quelle della luce rallenta il proprio orologio all'occhio di chi viaggia più lentamente.


Ogni singola particella dell'universo vive un tempo relativo legato alla sua condizione di velocità il che è traducibile con la seguente affermazione: l'orologio di ogni singola particella scandisce il tempo in relazione alle interazioni che la particella stessa subisce dai campi che la circondano. Infatti ciò che noi chiamiamo accelerazione dipende essenzialmente dalla massa e dall'energia che possiede la particella (o l'insieme di particelle) e cioè dalla presenza dei campi elettromagnetici, gravitazionali e di Higgs (la definizione di campo è qualcosa di complesso ma possiamo immaginare un fluido che permea lo spazio con certe caratteristiche e densità). E se i campi non ci fossero?
I fisici sono d'accordo sul fatto che senza campi le particelle sarebbero condannate a viaggiare tutte alla velocità della luce, riempendo un "non tempo" e forse un "non luogo" di scie di energia ricurve su se stesse, un posto inimmaginabile in cui più lenti della luce non si può. (continua)

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