sabato, febbraio 23, 2013

Il Big Bang ha detto....... Start!

Con quale grado di sicurezza possiamo oggi far coincidere l'inizio di tutto con la teoria del Big Bang? Il cosiddetto modello cosmologico standard si basa effettivamente su dati concreti ed oggettivi? Sono domande che nascono spontanee a chi si avvicina per la prima volta alle scienze astronomiche e sente discutere delle teorie inerenti all'istante in cui sarebbe nato l'universo, inteso come l'insieme dello spazio e del tempo in cui noi viviamo, orbitano i pianeti, le galassie si formano, etc  etc.
Se partiamo dal principio, non dell'universo ma della storia della teoria, possiamo tornare agli anni in cui Einstein, dopo aver formulato la relatività generale ed averla vista confermare dalle osservazioni astronomiche, godeva di grande fama con la conseguenza che scienziati di tutto il mondo iniziarono ad utilizzare le sue formule per calcolare eventuali conseguenze della teoria ancora ignote (anche ad Einstein stesso); uno di questi fu Alexander Friedmann, matematico russo, che derivando le equazioni di  Einstein rilevò che l'universo doveva essere in espansione, in contrasto con ciò che si era creduto fino ad allora e che lo stesso Einstein si era rifiutato di evincere dalla propria teoria.

La prima prova sperimentale fu portata da Hubble nel 1929, che mostrò che le galassie intorno alla nostra si stavano allontanando, dando nuovo interesse ai calcoli di Friedmann, ma fu Lemaìtre, qualche anno dopo, che arrivò alla conclusione che, andando a ritroso nel tempo, l'attuale espansione si sarebbe trasformata nella graduale contrazione fino ad un unico singolo punto in cui tutta la materia dell'universo sarebbe stata compressa (nucleosintesi).

La seconda prova, molto interessante perché pronosticata, è quella dell'osservazione della radiazione cosmica di fondo; George Gamow, Ralph Alpher e Robert Herman già nel 1948 predissero la misurazione di una emissione di temperatura nel fondo del cielo che fu effettivamente e casualmente rilevata dai radiostrumenti di Penzias e Wilson nel 1965. In pratica si misura una quasi omogenea temperatura del fondo cosmico che proverebbe il fatto che tutto ciò che vediamo sia stato per un certo tempo a stretto contatto nelle prime evoluzioni dopo il Big Bang: curioso che fino a qualche tempo fa le televisioni analogiche, se sintonizzate su frequenze libere da emittenti, visualizzassero nell'immagine scostante e granulosa di disturbo anche il segnale di tale radiazione cosmica.

La terza prova sarebbe l'abbondanza di Elio-4 (circa il 25%) e la presenza nell'universo di elementi chimici in determinate percentuali: infatti grazie al modello della nucleosintesi primordiale è possibile  calcolare il processo di formazione degli elementi nei primi istanti dopo il Big Bang e siccome alcuni di essi, come ad esempio l'elio-4, sono molto stabili e difficilmente si combinano con altri elementi, allora se l'abbondanza che ne misuriamo oggi è simile a quella prevista dal modello, possiamo altresì pensare che non si tratti di coincidenza; se poi moltiplichiamo la prova per altri elementi ed isotopi come il litio-7, tutto ciò diventa più che un indizio.

Possiamo concludere dicendo che comunque esistono teorie alternative a quella del Big Bang ma che nessuna ha alle spalle una così forte pletora di prove ed indizi, e che se pur portando rispetto alle varie credenze religiose, consiglierei vivamente le autorità varie, guru e santoni, vescovi e  rabbini, imam e cohen, di integrare presto nel loro modello religioso quello del Big Bang, tanto possono ancora sbizzarrirsi su ciò che è accaduto prima.

domenica, febbraio 17, 2013

Indeterminazione: imprecisione o ritardo?

Uno dei pilastri su cui poggia la meccanica quantistica è il principio di indeterminazione di Heisenberg che dice, semplificando al massimo, che nonostante ogni nostro sforzo non potremo mai conoscere con precisione e contemporaneamente tutte le caratteristiche di una particella elementare: un grosso shock per i deterministi dei secoli passati che pensavano un giorno di poter prevedere ogni futuro possibile semplicemente conoscendo lo stato iniziale di ogni particella di un sistema, facendolo poi evolvere secondo le leggi della fisica. In pratica tale principio, se vogliamo ricondurlo alla realtà quotidiana, esprime l'incertezza di fondo in cui siamo immersi: per quanto possano essere accurate le previsioni del tempo non saranno mai affidabili al 100%, prevedere chi vincerà le elezioni sarà sempre impossibile e nonostante ogni sforzo la moneta cadrà sulla testa o sulla croce senza poter dire nulla di più che ciò succederà, dopo infiniti lanci, la metà delle volte da un lato e la metà dall'altro.
Ma tale principio è frutto della nostra incapacità di costruire strumenti più precisi e simulatori più sofisticati oppure è una caratteristica della natura in cui siamo immersi?
La risposta, secondo l'interpretazione classica, è che l'indeterminazione non è superabile perché costituisce una proprietà intrinseca del mondo delle particelle e nonostante si possa prevedere il comportamento delle particelle tramite calcoli probabilistici (proprio come nel caso del lancio della moneta) rimarremo sempre all'oscuro, o meglio conosceremo con un certo grado di incertezza, le sue proprietà in un dato istante (per esempio velocità e posizione).


L'origine di tale imprecisione nasce fondamentalmente dalla impossibilità di misurare senza interagire e, come nell'esempio fatto qualche settimana fa sul termometro, di modificare lo stato del sistema che vogliamo esplorare; in realtà potrebbero esistere anche altri limiti alla nostra conoscenza della natura e vorrei tentare di fare un esempio che può essere applicato sia al macro che al microcosmo.


Sappiamo che la luce che ci giunge dalla spazio per impressionare il cielo notturno con la miriade di puntini che osserviamo, ha viaggiato nello spazio siderale per svariato tempo prima di poter essere intravista dai nostri occhi e dagli strumenti astronomici; questo viaggio può durare minuti, come nel caso del Sole, anni come per Proxima Centauri, miliardi di anni come per la luce più fioca e lontana che riusciamo a misurare. La prima conseguenza di questi tempi di percorrenza è che la luce che vediamo rappresenta un immagine passata degli oggetti che l'hanno emessa; la seconda conseguenza è che potrebbero esserci oggetti così lontani che la luce da essi emanata non ci giungerà mai e che quindi non avremo mai informazioni relative a tali manifestazioni della natura.
Quindi il confine dell'universo a noi visibile, che dista circa 14 miliardi di anni luce, non è solo un confine ottico, ma anche una barriera alla conoscenza di eventuali altri fenomeni presenti nell'universo.

E nel microuniverso? Chi si muove attraverso internet negli svariati mondi di social network, game online, chat, ma anche  chi usa reti di comunicazione per lavoro, avrà sentito parlare di "lag" telematico cioè di ritardo; nella pratica il lag è il tempo che intercorre in una comunicazione tra l'invio di un dato ed il ritorno della conferma che tale dato è stato ricevuto: l'effetto è particolarmente fastidioso quando si gioca online perché l'azione che compie il mio avatar, cioè il comando che invio dalla mia tastiera, avrà rispondenza sul monitor (il segnale di ritorno) solo qualche istante dopo, creando un ritardo tra ciò che faccio e ciò che vedo. Se poi stiamo cercando di colpire virtualmente un bersaglio in movimento, la frustrazione crescerà all'aumentare del tempo di ritardo perché il punto che cercavo di colpire si sarà spostato nel lasso di tempo in cui il mio comando sia arrivato a destinazione: quindi dove mirare? Basterebbe conoscere la traiettoria precisa del nostro bersaglio e si potrebbe tentare di anticipare il colpo per annullare l'effetto del lag, un po' come fanno i tiratori scelti che nella realtà mirano uno spazio in avanti per tener conto della velocità del colpo e del obiettivo, ma siccome nel nostro gioco virtuale non conosciamo la regola che descrive il movimento del bersaglio, saremo costretti a mirare in un intorno della posizione sperando che il bersaglio si sposti proprio da quella parte. Ancora più semplicemente, in una conversazione telefonica via web, se non sappiamo quando il nostro interlocutore avrà finito di parlare, se il tempo di latenza è elevato, finiremo per parlarci uno sopra l'altro perché non abbiamo fissato una regola che ci faccia capire quando è il nostro turno di parlare (nelle comunicazioni radio si usava il "passo") e ci sarà una perdita di informazione legata alla sovrapposizione delle parole.
Nella realtà fisica esiste un lag implicito, non eliminabile, che è definito dalla distanza tra macro realtà di noi osservatori e misuratori nei confronti di un minuscolo pezzetto di materia di cui non conosciamo le proprietà di partenza: possiamo usare particelle per esplorare altre particelle, possiamo aumentare l'energia di dette particelle e frantumarle contro loro simili, possiamo sparare a caso e ricostruire la probabilità con cui la particella si sposta, ma sempre a che fare con particelle dovremo.

giovedì, febbraio 14, 2013

Buchi neri: lavatrici o biblioteche?

Una delle diatribe della fisica cosmologica degli ultimi decenni del secondo millennio è stata sul ruolo dei buchi neri nel nostro universo; siccome la caratteristica essenziale dei blackhole è quella  di risucchiare tutto ciò gli capiti nei paraggi, nello specifico tutto ciò che superi l'orizzonte degli eventi (come è stato battezzato il punto di non ritorno), sorge immediata una domanda sulla fine che facciano i malcapitati, essi siano UFO o semplici raggi di luce, inghiottiti nel buco senza uscita.


E' già sbalorditivo il semplice fatto che tali questioni siano state affrontate quando l'esistenza dei buchi neri come entità cosmiche era appena stata teorizzata, ed ora che possiamo affermare con una certa sicurezza che la loro presenza sia effettiva e nemmeno tanto remota, forse abbiamo anche alcune risposte importanti; in pratica il problema riguarda una delle leggi fondamentali della fisica che ci dice che col passare del tempo il disordine nell'universo, che chiamiamo entropia, deve sempre aumentare. L'entropia è il motore stesso della nostra esistenza nel senso che è profondamente legata allo scorrere del tempo; immaginiamo una situazione in cui il disordine totale sia rappresentato da una stanza o da una montagna o dal vostro computer e capirete presto che l'unico modo di far crescere più lentamente il disordine in questi ambienti è di non toccare nulla, di non interagire: anche nella situazione migliore di nessuna interazione comunque la stanza si riempirà di polvere, la montagna vedrà erodere i crinali ed il computer (il sistema apparentemente più chiuso dei tre) sarà negli anni soggetto al degradamento della sua memoria. Ed è proprio l'informazione l'altro punto essenziale della storia, perché se l'entropia è destinata ad aumentare, l'informazione legata ad ogni sistema invece rimane costante, cioè, nell'esempio del computer, sebbene ad un certo punto una memoria si bruci, l'informazione che descriveva quello stato, se vogliamo quel bit, rimane nella stanza sotto forma di calore o altra radiazione. Quindi anche se vediamo sgretolarsi una montagna o bruciare una sedia sappiamo che le informazioni che descrivono quegli stati (la posizione delle singole particelle e le loro proprietà) saranno comunque sempre presenti nell'universo e non svaniranno mai.

I buchi neri però potrebbero mettere in discussione questa visione del cosmo: i fisici usano dire che un buco nero "non ha capelli" per esprimere il concetto di essenzialità e cioè che ogni buco nero è indistinguibile da un altro se non per alcuni pochi e definiti parametri (gli stessi in pratica che caratterizzano una singola particella); una volta che un computer cadesse all'interno del buco nero, le informazioni contenute in esso (così come le informazioni che caratterizzano le sue miriadi di particelle) che fine farebbero, se poi alla fine il buco nero ci continua ad apparire calvo? Dopo che Hawking ha scoperto la possibilità che i buchi neri potessero emettere radiazione sotto forma calore, il dilemma si è complicato ulteriormente perché tale caratteristica, associata alla "mancanza di capelli", sembrava escludere che nel buco nero si potessero celare le informazioni risucchiate, ed anzi che magari queste potessero essere ripulite e riemesse come da un enorme lavatrice cosmica.

La soluzione proposta da jakob David Bekensteine dimostrata matematicamente dallo stesso Stephen William Hawking, fu che l'informazione e l'entropia ad essa associata può essere tutta immagazzinata sulla superficie sferica dell'orizzonte degli eventi, e più in generale che tutta l'informazione contenuta in un volume chiuso, è proporzionale alla superficie che racchiude il volume stesso: quindi non solo i buchi neri potrebbero racchiudere, come un enorme biblioteca, tutta l'informazione risucchiata, ma le informazioni contenute in tutto l'universo, quelle di ogni singola particella esistente, potrebbero risiedere sul confine dell'universo stesso.

sabato, febbraio 02, 2013

Ricapitolando

Forse è più facile ingannarsi nella convinzione che i fenomeni che non vediamo o percepiamo appartengano ad un mondo misterioso che è meglio non indagare troppo, se non attraverso qualche aspetto di spiritualità o di format sui misteri; alcuni risvolti "tecnici" della scienza ci sembrano complessi e noiosi ed è meglio convincersi che le risposte che possiamo ottenere siano comunque ristrette od incomplete in modo che ogni sforzo intellettuale ci appaia sprecato. Così ci limitiamo ad usare un telefono, un frigo, un computer, non soffermandoci sulla realtà della loro stessa esistenza che è legata alla conoscenza di leggi naturali apparentemente imperscrutabili e che i fisici hanno ostinatamente indagato fino ad ottenerne il controllo.


Di certo la scuola dell'obbligo non aiuta ad appassionarsi alle materie tecnico-scientifiche ma nell'era di internet l'informazione diventa accessibile, anzi diventa fruibile, grazie ai siti ed alle immagini, alle simulazioni, alla computer-grafica, alle conferenze, alle lezioni degli appassionati e dei professionisti.

Ci si può tuffare nel mondo della scienza e della fisica attraversando le scoperte, le storie dei personaggi, esplorando i limiti della ricerca attuale, anche scoprendo che i concetti che si sono appresi a scuola, magari decine di anni prima, non erano del tutto esatti e che anche l'atomo non è più quello che credevamo.

Può risultare poco lecito chiederci se siamo i soli ad osservare l'universo con le sue leggi e come sia possibile che, con tutte le probabili combinazioni di insuccesso, si sia sviluppata una forma di vita in grado di porsi tale domanda: una risposta esiste e non è teologica.

Porsi domande su concetti apparentemente tangibili come lo scorrere del tempo ci permette di inoltrarci in un mondo completamente diverso da quello che conosciamo, una realtà in cui gli orologi scandiscono tempi diversi ed in cui lo spazio ed il tempo si congiungono per poi distorgersi sotto il peso degli oggetti celesti: la conoscenza profonda di tali meccanismi ci permette oggi, per esempio, di viaggiare comodamente senza cartine stradali.

Non solo la nostra percezione di tempo è limitata ma anche quella di tatto ci trae in inganno perchè ci da la sensazione di essere pieni di materia e che la nostra massa sia qualcosa di farcito: la realtà è che siamo vuoti, quasi completamente, e che la sensazione di riempimento è solo dovuta ad invisibili palline impazzite che muovendosi attorno ad ogni atomo che ci compone, creano uno scudo di cariche elettriche che si oppongono a quelle degli oggetti che afferriamo: così come una moneta fatta girare velocemente attorno al proprio asse ci appare per qualche istante una sfera, anche il mondo che ci circonda appare pieno ai nostri occhi (ma non a quelli di una radiografia).

Ma cos'è che permette all'elettrone di avere tanta energia per muoversi freneticamente e proteggersi con i scudi di potenza negativa? E perchè l'elettrone e le altre particelle nascondono questa energia dietro un imbarazzante duplice comportamento?

Il segreto sicuramente si nasconde tra le pieghe del tessuto spazio-temporale, una trama creata in 14 miliardi di anni partendo da un unico punto dal quale è scaturito l'intero universo, lo spazio ed il tempo stesso; esiste anche una descrizione ormai abbastanza completa di ciò che è stato creato e degli elementi principali che componendosi hanno dato forma all'universo attuale: ma ci sono anche lacune da colmare.

Non sappiamo che cosa ci sia dietro al misterioso principio di non località, secondo il quale esistono connessioni quantistiche che eludono le limitazioni dello spazio-tempo, per teletrasportare informazioni in modo istantaneo da una particella ad un'altra, come se sotto la coperta del tessuto quadridimensionale nel quale si espande l'universo, si trovasse un materasso attraverso il quale si può viaggiare a velocità infinità per raggiungere istantaneamente qualsiasi punto della coperta.

Evidentemente le regole del mondo delle particelle sono diverse da quelle che dobbiamo seguire noi macro-osservatori, ed i nostri limiti sono legati alle infinite connessioni che compongono un pezzo di materia, miriadi di particelle che legandosi insieme perdono alcune loro capacità peculiari, fortunatamente, per dare origine al macro-mondo stabile in cui viviamo.